Come Meta ha congelato l’equo compenso per gli editori (e perché è un problema per tutti)
Il ricorso al Tar ha portato i frutti all'albero di Zuckerberg. Agcom prova a scongelare la situazione con il ricorso al Consiglio di Stato
17/02/2024 di Redazione Giornalettismo
Un Regolamento atteso da anni che, ora, è stato congelato. Il tema dell’equo compenso per gli editori, ovvero gli accordi economici con le grandi piattaforme per una corretta remunerazione della pubblicazione e condivisione di contenuti giornalistici su social come Instagram e Facebook, si è arenato di fronte a un ricorso. Quello presentato da Meta al Tar del Lazio, con il Tribunale amministrativo che ha accolto alcune istante mosse dalla holding di Zuckerberg chiedendo una valutazione sul caso alla Corte di Giustizia Europea. Dunque, per il momento, le trattative tra le parti non possono proseguire ai sensi della legge italiana, quella che ha recepito la direttiva Copyright dell’Unione Europea.
Equo compenso editori, perché il regolamento è congelato
Nel gennaio scorso, Agcom aveva pubblicato il testo del Regolamento. Ma Meta lo ha immediatamente contestato. In particolare, l’azienda di Facebook e Instagram sostiene che il “potere” nelle mani dell’Autorità Garante nelle Comunicazioni sia spropositato e andrebbe oltre a quanto previsto dalla stessa direttiva Europea. Nello specifico, si ritiene che Agcom non debba avere un ruolo fondamentale – quello di decisore – qualora editori e grandi piattaforme non trovassero un accordo. E se si procederà alla Corte di Giustizia UE, le tempistiche per la decisione finale potrebbero superare un anno e mezzo. Per questo l’Autorità ha presentato un contro-ricorso al Consiglio di Stato.
Un grosso guaio per l’editoria italiana, ma le problematiche di questo regolamento erano state sollevate da molti esperti fin dall’approvazione e pubblicazione. Oltre un anno fa, Giornalettismo aveva raccolto dei pareri critici, tra cui quello della Commissaria Agcom Elisa Giomi, l’unica Consigliera ad aver votato no. I rischi palesati all’epoca sono diventati, oggi, realtà. E il governo italiano non può neanche intervenire, essendo in corso una diatriba giudiziaria.
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