Le regole dell’algoritmo di Netflix (che anche le produzioni italiane devono rispettare)
Perché esistono film che sembrano uguali a loro stessi e perché gli OTT sembrano non volere altro
Mass Media14/08/2024 di Gianmichele Laino
Avete anche voi la sensazione diffusa, quando guardate un film su una piattaforma OTT, di averlo già visto da qualche parte o – al massimo – di ritrovare ambientazioni, ritmi, sequenze altrove? Diciamo che non è soltanto una sensazione, ma una affermazione che – in qualche modo – è stata suffragata anche dall’esperienza di chi, nel mondo del cinema, lavora e opera attivamente. Certo, a livello di produzione non si può parlare di “algoritmo” vero e proprio. Quello, invece, è parte della distribuzione e dei suoi meccanismi, della modalità con cui gli utenti di piattaforme come Netflix o Amazon Prime interagiscono con l’OTT e – su questa base – ottengono suggerimenti di visualizzazione. Che, quindi, non possono non incidere sulle decisioni relative alle produzioni da mettere in catalogo, a volte a discapito della qualità.
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Come funziona l’algoritmo degli OTT
Attività di visione, interazioni con altri titoli, informazioni sui titoli, come il genere, le categorie, gli attori, l’anno di uscita. A questo si aggiunge l’ora del giorno d’accesso alla piattaforma, le lingue preferite, i dispositivi attraverso cui una piattaforma viene consultata, la durata della sessione: si tratta di elementi che vengono presi in considerazione da piattaforme come Netflix, Amazon Prime, Disney+ e Paramount per suggerire altri materiali in visione. Questo genera un meccanismo secondo cui le tendenze dominanti divento allo stesso tempo dei fattori preferenziali per inserire un film o una serie tv in catalogo.
E qui si torna, dunque, ai film tutti uguali. Soprattutto per quello che riguarda le cosiddette produzioni originals (quelle cioè in cui l’investimento della piattaforma è più concreto): il controllo dello streamer è più invasivo, quasi asfissiante per i team di produzione, che – come abbiamo visto in un altro punto del nostro monografico – a volte hanno un accesso limitato persino alle fasi di montaggio. Un film che deve riprodurre l’indice di gradimento di un altro prodotto, per forza di cose, assomiglia un po’ a quello precedente. È il frutto dell’algoritmo dell’OTT ed è anche la preoccupazione maggiore in un mondo in cui conta sempre di più l’intelligenza artificiale: se si costruisce un archivio di contenuti simili a se stessi, infatti, si rischia di rendere più agevole il lavoro a una AI che debba scrivere interamente una sceneggiatura. Eliminando, a lungo andare, la componente umana.
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