Assalto ai sistemi mentre gli esperti si pavoneggiano al convegno Cybertech… Umberto RAPETTOMaggio 12, 2022
Anche stavolta diranno che non è successo nulla. Negare l’evidenza è la prima regola di chi, in conclamata difficoltà operativa, non sa nemmeno da che parte cominciare per porre rimedio ad una disfatta epocale. Il Ministero della Difesa – una delle tante “presunte” (guai a contraddire le istituzioni) vittime – ha precisato che non c’è stato nessun attacco e che i sistemi erano solo in manutenzione. Simili asserzioni somigliano all’ostinata ed irremovibile convinzione dell’immaginario signor Pavlov, ipotetico amministratore di condominio in quel di Mariupol, raccontasse che gli edifici di cui ha la gestione non sono stati bombardati ma sono oggetto di interventi innovativi per ottenere il “bonus facciate”… Allo Stato Maggiore la cultura cinematografica probabilmente langue, altrimenti il comunicato avrebbe riportato tra virgolette l’intera dichiarazione di John Belushi che imputava alle cavallette il mancato matrimonio con la spasimante legittimamente adirata e in quell’attimo armata di fucile mitragliatore. La Pearl Harbour cibernetica “de noantri” si è consumata mentre esperti e gran commis sfilavano in passerella ad un evento congressuale ed erano troppo impegnati a complimentarsi vicendevolmente per occuparsi della sicurezza del Paese o dei rispettivi contesti di competenza. Il gruppo hacker filo-russo “KillNet”, lo stesso che ha “fatto piangere” il governo romeno e quello tedesco qualche giorno fa, ha penetrato le reti italiane con l’agilità di un giocatore di bowling e ha tirato giù come birilli i server del Senato della Repubblica, dell’Istituto Superiore della Sanità, dell’ACI, dell’Istituto di studi avanzati di Lucca (IMT), del portale Kompass, della società di servizi Infomedix e così a seguire. L’Agenzia per la Cybersecurity Nazionale assicura di essere al lavoro per ripristinare la necessaria situazione di normalità ed è ovvio che tutti si faccia il tifo perché l’attacco digitale venga arginato il prima possibile. Sarebbe (ed è) altrettanto ovvio sapere come sia possibile un simile sfacelo, chi ne ha consentito il compimento e quali saranno i provvedimenti adottati nei confronti di chi non ha saputo fare il proprio mestiere… Chi ha buona memoria ricorderà che il Senato della Repubblica era già stato “stuprato” telematicamente nel 2001. Chi legittimamente non ne avesse traccia può andarsi a leggere online quel che nel tempo hanno scritto i giornali in proposito. Nel 2006 i pirati informatici protagonisti di una strage analoga a quella cui stiamo assistendo vennero condannati così come ricorda tra gli altri un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno dell’11 luglio di sedici anni fa. I responsabili della malefatta non solo vennero immediatamente individuati dall’allora Gruppo Anticrimine Tecnologico della Guardia di Finanza, ma furono inchiodati dalle prove raccolte magistralmente da quel manipolo di fiamme gialle che quel lavoro lo sapeva fare davvero. Adesso non va più di moda scovare i banditi e raramente gli hacker pagano il loro conto con la giustizia. Le indagini attraverso Internet sono una cosa seria e bisogna esser realmente bravi per svolgerle in maniera professionale e risolutiva. Lo stesso discorso vale per la predisposizione delle misure di sicurezza che dovrebbero impedire ai malintenzionati di scorazzare a piacimento nei computer di Istituzioni ed aziende. Se è difficile beccare i famigerati pirati informatici, non è molto impegnativo spostarsi di qualche stanza o scendere al piano di sotto per acciuffare i dirigenti che – con la complicità dei fornitori che hanno rifilato loro soluzioni inadatte o inefficaci – non hanno fatto il possibile per evitare una figura barbina che espone l’Italia al pubblico ludibrio a livello internazionale.
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