Lock-in, prodotti in bundling, contratti poco chiari, scarsa interoperabilità colpiscono 11mila imprese italiane. Faro sui fornitori integrati hyperscaler: possono fortemente limitare la concorrenza mettendo a rischio gli obiettivi del Pnrr e la trasformazione digitale di imprese e PA 12 Mag 2022 Patrizia Licata giornalista
Le pratiche scorrette relative alle licenze software nel mercato del cloud in Italia interessano fino a 11mila imprese e fanno perdere al comparto Ict nazionale una potenziale crescita del fatturato compresa tra 1,28 miliardi e 1,61 miliardi di euro l’anno. Lo rileva l’Istituto per la competitività (I-Com) in un’analisi che ha coinvolto 82 aziende appartenenti ad Assintel, l’associazione nazionale delle imprese Ict e digitali. Quasi un’impresa italiana su 4 ha avuto un contatto, diretto o indiretto, con fenomeni quali termini di licenza software poco chiari, effetto lock-in, aumento imprevisto dei costi per le licenze e impossibilità di utilizzare software o hardware di altri fornitori. Il fenomeno rappresenta un rischio concreto, scrive I-Com, anche considerato che il tessuto economico italiano è composto in prevalenza da aziende piccole e micro. L’affermazione di fornitori integrati, che offrono sia infrastruttura cloud che software e servizi offerti in bundling su questa infrastruttura, rischia di determinare posizioni particolarmente vantaggiose per i provider integrati più grandi o hyperscaler. Inoltre, la stima delle ripercussioni è conservativa e, in particolare, non tiene conto delle ricadute sul settore pubblico. Sono aspetti importanti visti l’obiettivo di raggiungere il 75% di Pa utilizzatrici di servizi cloud entro il 2026 e la rilevanza di questa tecnologia nelle politiche promosse dal Pnrr per la trasformazione digitale di imprese ed enti pubblici. Indice degli argomenti • Le pratiche scorrette sui software cloud in Italia • La competitività nel cloud e gli “hyperscaler” • Servono norme per arginare le aziende gatekeeper Le pratiche scorrette sui software cloud in Italia Tra le aziende che hanno affermato di aver subìto pratiche scorrette sui software cloud, viene citato con maggiore frequenza l’effetto lock-in (38%), seguito da termini di licenza poco chiari o modificati in corso d’opera (31%), mentre al terzo posto, segnalate dal 23%, figurano le restrizioni rispetto al tipo di hardware o infrastruttura cloud su cui utilizzare il software, la necessità di acquistare una nuova licenza per l’utilizzo in cloud di un software già acquistato e le restrizioni nell’utilizzo dei software di altri fornitori. Oltre la metà delle aziende rispondenti (54%) ritiene che le pratiche scorrette relative alle licenze software nel mercato del cloud abbiano un effetto negativo di qualche misura sulla digitalizzazione delle aziende italiane. La competitività nel cloud e gli “hyperscaler” Nella sua analisi del più generale contesto di mercato, I-Com evidenzia come il mondo dei servizi cloud abbia allargato i propri confini arrivando a coinvolgere fasce di mercato terze riguardanti servizi e software precedentemente considerati distaccati o indipendenti. In molti casi, questo fenomeno ha riguardato i segmenti di mercato definiti “adiacenti” e ha portato ad una espansione dell’offerta dei prodotti distribuiti dai cloud provider, risultando talvolta in una perfetta complementarità tra i servizi cloud IaaS o PaaS e gli altri software e servizi. A tal proposito, merita particolare attenzione la distinzione tra “naked providers”, ovvero i fornitori attivi solamente nella fornitura di infrastrutture cloud, e “integrated providers”, fornitori di infrastrutture cloud attivi anche in segmenti di mercato adiacenti, in particolare nell’offerta di software di proprietà sotto licenza. Di conseguenza soggetti di diverse dimensioni, capacità e disponibilità si ritrovano in competizione diretta su mercati diversi all’interno di un contesto generale che rischia di determinare posizioni particolarmente vantaggiose per alcuni provider di servizi integrati, che comprendono allo stesso tempo infrastrutture cloud e software distribuiti in bundling su tali infrastrutture. Beneficiando di tale complementarietà e dei forti legami tra i servizi IaaS-PaaS e alcuni prodotti largamente diffusi e utilizzati nei mercati adiacenti, alcuni provider hyperscaler hanno la capacità di offrire servizi integrati secondo modalità che, sebbene allo stato attuale siano lecite dal punto di vista normativo, puntano a rafforzare il legame con i propri clienti ma limitano nei fatti la concorrenza, in particolare a scapito dei player non integrati e di dimensioni minori, tanto nei mercati verticali quanto in quelli orizzontali. Nello specifico, pratiche quali bundling e tying tra prodotti apparentemente distinti, insieme a contratti di licenza restrittivi, interoperabilità limitata tra servizi complementari e talvolta lock-in all’interno di ecosistemi proprietari possono essere utilizzate dai provider leader di mercato per favorire la propria infrastruttura cloud ai danni della concorrenza. Particolarmente rilevanti in questo contesto risultano essere le pratiche riguardanti la stesura delle licenze con cui i provider cloud offrono software aggiuntivi. Tali dinamiche rischiano di determinare un duplice effetto: in primo luogo, svantaggiare gli operatori di dimensioni minori e ridurre la spinta all’innovazione tecnologica, tradizionalmente determinata dalla competizione tra newcomer o piccoli player. Servono norme per arginare le aziende gatekeeper Lo studio non fa nomi ma è chiaro quali siano le poche “aziende gatekeeper” di cui le pratiche scorrette rischiano di consolidare l’influenza di mercato a discapito degli altri competitor, in particolare europei e di piccole dimensioni. Il Digital markets act (Dma) europeo si occupa proprio di questo ma I-Com suggerisce di affrontare il problema che a livello nazionale all’interno del Ddl Concorrenza. Nel complesso, una sistematizzazione del quadro normativo italiano nella direzione di una tutela dei provider minori e attivi solo sul versante del cloud infrastructure (o su quello dell’offerta as a service) appare fondamentale, conclude lo studio, per non ostacolare lo sviluppo di un mercato ed una tecnologia che, nella cornice italiana della spinta alla trasformazione digitale di aziende e di pubbliche amministrazioni – con particolare riferimento alla migrazione al cloud e al principio cloud first -, appare essenziale per garantire la creazione di un ecosistema che sia non solo sicuro, ma anche aperto, competitivo e incentivante una maggiore innovazione per gli attori coinvolti.
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