Un sondaggio di Reuters e Ipsos svela che per il 61% degli statunitensi gli sviluppi dell’AI sono un rischio per l’umanità. Il 39% ha un’opinione positiva.
Pubblicato il 17 maggio 2023 da Valentina Bernocco
L’intelligenza artificiale è una minaccia per l’umanità? La domanda è estrema, e forse non esiste al momento una risposta netta, perché le recenti, rapide evoluzioni dell’AI generativa (di cui ChatGPT è il simbolo più noto, seguito da Bard, Dall-E e Midjourney) devono ancora trovare precisi limiti d’azione, regole e “misure cuscinetto” che possano arginarne i rischi. Rischi che certo non mancano: dalle violazioni di privacy e di copyright al possibile bias degli algoritmi, fino alla mancata trasparenza sui dati, sul loro utilizzo e sui risultati prodotti dalle interrogazioni, e ancora – non meno importanti – i probabili impatti sull’occupazione e il pericolo di creare una “falsa realtà” plausibile o indistinguibile dal vero.
Negli ultimi mesi il mondo delle istituzioni e la società civile (associazioni, sindacati, no-profit) si stanno muovendo per ponderare costi e benefici e per tracciare dei paletti. Hanno fatto notizia il veto su ChatGPT posto (e poi rimosso) dal Garante della privacy italiano, la task force creata a livello europeo, il vertice alla Casa Bianca con i rappresentanti di Alphabet, Microsoft, OpenAI e Anthropic, e ancora l’invito alla cautela espresso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Intanto l’Unione Europea sta procedendo per approvare il testo dell’AI Act, aggiornato in modo da abbracciare i più recenti sviluppi dell’AI generativa.
Ora un sondaggio condotto dall’osservatorio di Ipsos e Reuters svela che la popolazione statunitense è spaccata in due, tra coloro (la maggioranza) che temono l’intelligenza artificiale e coloro che invece la apprezzano. Sul totale degli intervistati, un migliaio di cittadini maggiorenni di diversa appartenenza politica, il 43% si è detto non favorevole alle applicazioni di AI, il 39% è favorevole, il 13% non si è fatto ancora un’opinione e il 4% non conosce la materia.
Sebbene le percentuali dei “favorevoli” e dei “contrari” non siano troppo distanti, le preoccupazioni si estendono anche al gruppo dei sostenitori dell’intelligenza artificiale. Ben il 71% degli intervistati, infatti, ha detto di temere impatti sull’occupazione e sulla società, mentre il 76% prevede un aumento della disinformazione veicolata dai deepfake.
E non è tutto: da un altro sondaggio online di Ipsos/Reuters, condotto su circa 4.400 statunitensi, è risultato che il 61% considera l’intelligenza artificiale un potenziale rischio per l’umanità, se non regolamentata (il 22% non è d’accordo con l’affermazione, il 17% non ha un’opinione definita al riguardo).
A voler fare gli avvocati difensori dell’AI, potremmo citare due considerazioni. La prima è che, almeno in parte, è naturale che una tecnologia emergente e ancora sconosciuta scateni delle perplessità o paure. La seconda considerazione è che, effettivamente, la conoscenza dell’AI e in particolare dell’AI generativa è ancora scarsa tra i non addetti ai lavori. Sul campione intervistato da Ipsos nella prima delle due ricerche, solo il 16% ha detto di aver già utilizzato applicazioni di intelligenza artificiale generativa, principalmente per creare contenuti artistici, grafiche o immagini oppure testi collegati ad attività lavorative. Altri casi d’uso, meno frequenti, sono la generazione di post per i social media e di compiti scolastici, tesi e tesine.
Una voce decisamente preoccupata è quella del Future of Life Institute, già promotore di una petizione firmata da migliaia di informatici, ricercatori, accademici e imprenditori (tra cui Elon Musk e Steve Wozniak), in cui si chiede uno stop di sei mesi alle sperimentazioni di AI generativa avanzata. A detta di Landon Klein, director delle US policy per l’istituto, i risultati della ricerca mostrano che “una larga fetta di americani è preoccupata degli effetti negativi dell’AI. Per noi il momento attuale è paragonabile all’inizio dell’era nucleare, con il vantaggio di avere una percezione pubblica coerente con l’esigenza di agire”.
“Le preoccupazioni sono del tutto legittime”, ha commentato Sebastian Thrun, professore di informatica dell’Università di Stanford e fondatore dei laboratori Google X, “ma credo che in generale, nel dibattito, manchi la domanda sul perché lo stiamo facendo. L’AI aumenterà la qualità della vita delle persone e le aiuterà a essere più competenti ed efficienti”.
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